A quanti di voi capita di avere quella voglia bramosa, che non si placa, di qualcosa di dolce? C’è a chi, addirittura, non fa dormire… E non vi da pace finché non la soddisfate.
Solo a quel punto vi sentite inebriati e soddisfatti.
Dietro a tutto questo c’è un mondo. Siamo tutti d’accordo sul fatto che il cibo sia sopravvivenza, nutrimento, segnale metabolico e ormonale, ma siamo anche d’accordo che il cibo sia convivialità e soprattutto piacere.
La propensione per gli alimenti più dolci fa parte di noi, della nostra natura: per milioni di anni, quando il cibo non era garantito, l’istinto ci ha portato a cercare fonti energetiche zuccherine e a farne scorta in vista dei periodi di magra.
Lo zucchero, così come come l’alcool e le droghe, sono molecole attive a livello cerebrale, in grado di attivare i recettori dopaminergici coinvolti nei meccanismi di piacere e ricompensa.
È per questo che dopo aver consumato tali alimenti ci sentiamo bene e ne desideriamo altri.
È così sbaglio?
Ci siamo sviluppati velocemente all’interno di una società sempre più opulenta, ma non a livello genetico.
Il nostro corpo non sa che non abbiamo bisogno di rimpinzarci di roba dolce quando la troviamo, perché anche domani il pasto (e anzi, i troppi pasti) saranno garantiti… Perché il frigo di là è sempre pieno.
Però, la voglia di dolce rimane.
E non c’è niente di male a soddisfare la voglia con un dolcino, ogni tanto.
La cosa importante però è cercare di ascoltarsi e capire: cos’è questa voglia irrefrenabile? È fame? È noia?
Non è per forza sbagliato mangiare un dolcino se in quel momento ci gratifica, ma se questo succede sempre, il rischio è quello di far diventare il cibo la nostra consolazione, anziché il nostro nutrimento.
Sappiamo riconoscere di che fame si tratta?
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